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giovedì 31 ottobre 2013

Un ingrediente per due: la carne bovina


Era da un po' che avevo in mente di provare qualche ricetta con il quinto quarto e mi son sempre chiesta se alla fine ce l'avrei fatta.
Perché insomma, un conto è mangiare un orecchio di maiale bello croccante che sembra una patatina, un conto cazzo è comprarlo e toglierli prima cerume e peli.
Idem con il cervello. Dicono sia tanto buono ma io una testa di agnello tagliata a metà con ancora ancora tutti e 16 i denti attaccati e l'occhio che mi guarda un po' strabico mi spiace, ma la lascio lì.
E che d'altronde non è mica colpa mia se sono nata nella generazione di quelli che credono che le uova nascano già in cartoni da sei.
So di essere totalmente incoerente, ma datemi un coniglio morto e spellato e senza testa e ci vedrò un arrosto.
Datemelo vivo e gli farò solo grattini.

Ciò non toglie che tutto il discorso di riuscire a rivalutare tagli meno nobili considerati quasi di scarto mi ha sempre appassionato. Sia per un discorso di gusti nuovi da scoprire, sia per una questione di rispetto dell'animale. 
Come dire: "ti faccio sì fuori ma prima ti lascio vivere una vita felice e poi cerco di non farti finire in scatolette di cibo _per cani e non_ e mi impegno ad utilizzare di te tutto l'utilizzabile cercando di godere appieno di ogni tua singola parte".

E ora chiamatemi pure Dio.
O Hannibal.

Ma non sul cellulare che ho poco credito.

E così ho anche comprato un libro. Offal. Inglese. Trovato solo online. Che prometteva grandi cose. Bella grafica, bella copertina, belle foto.
Per poi aprirlo e scoprire che i 3/4 sono ricette di tradizione Italiana che avrei potuto trovare benissimo nei libri che ho già a casa.
Fuck online shopping.

E quindi insomma, quando questo mese abbiamo deciso di parlare della carne ho pensato che non avrebbe potuto esserci occasione migliore per sperimentare qualcosa.
L'idea originale era quella di fare dei ravioli di lingua con del limone candito ma, quando al momento dell'acquisto della carne mi sono accorta che la lingua costava quanto un arrosto di reale mi sono chiesta allora di che razza di quinto quarto stessimo parlando e ho anche un po' maledetto tutti quelli che hanno fatto tornare di moda le frattaglie.

E poi ho visto lì di fianco la trippa di foiolo. 
Bella sfogliata. Bella pulita. Bella sbiancata chimicamente. Bella economica. 
E mi son detta che tanto in un raviolo lingua o trippa in fondo non avrebbe poi fatto tanta differenza. 
Mh.
E qual'è la morte della trippa? Stare coi fagioli. 
Ma io avevo solo dei ceci.
E dato che un'altra idea che avevo in testa da tempo era quella di provare a denaturare la farina di legumi in modo da renderla impastabile, non ci ho pensato due volte e ho fatto un test.
Anche se forse accendere il forno a 90°C per tre ore per soli 300 g di farina non è stata proprio una gran furbata....

E così son nati questi cappelletti. Leggeri, proteici, senza glutine, con pochissimi grassi.
Perché sì, la trippa in realtà, a dispetto del nome, è un taglio magrissimo. 

...E alla fine si scoprì che "ciao trippona" non era mai stato un insulto bensì un complimento.....


Prima della ricetta leggetevi però la scheda del Comandante che secondo me in pochi sono così ben preparati sui vari nomi delle bestie.

"La carne bovina che noi utilizziamo in cucina appartiene a mammiferi della famiglia dei Bovidae, rappresentati dal genere Bos e dalla specie Bos taurus.
I bovini sono animali erbivori ruminanti e come tutti i ruminanti sono caratterizzati dall’avere 3 prestomaci (reticolo, rumine e omaso) ed uno stomaco (abomaso) dove avvengono diverse fasi della digestione. La dieta di questi erbivori è svariata soprattutto se gli animali vengono allevati all’aperto (in alpeggio durante l’estate e nei pascoli pedemontani o di pianura durante le altre stagioni) e non in stabulazione fissa in maniera intensiva. Sulla metodologia di allevamento e benessere animale ci sarebbe da parlare per una giornata intera poiché poi quando noi cuociamo una semplice fettina di carne alla piastra e questa si riduce della metà e diventa dura come una suola di scarpa forse sarebbe il caso di chiederci da dove arriva questa fettina…

Oltre che per la razza, e l’Italia è regina di biodiversità anche in questo campo, la carne che utilizziamo deriva da animali di età differente che vengono chiamati con nomi differenti.
Per prima cosa parliamo delle razze. Fra i bovini esistono razze allevate per la produzione di latte (come la bruna alpina, la frisona e la jersey), per la produzione di carne (come la simmenthal,  la limousine, la charolaise, l’aberdeen angus, la piemontese o fassone, la chianina, la marchigiana e la maremmana) e quelle allevate con duplice attitudine (come la rendena, la bianca modenese, la podolica, la valdostana pezzata, la normanna e la rossa danese). In passato, e tutt’oggi in alcuni paesi dove la meccanizzazione dell’agricoltura è ancora inesistente o molto arretrata, esistevano razze tipicamente da lavoro come da noi in Italia la chianina, la maremmana e la piemontese solo per citarne alcune. Come detto sopra nel nostro paese esistono svariate razze anche molto rustiche (come la varzese, la pustertaler, la cabannina e anche la stessa maremmana) che hanno ancora una duplice ed a volte una triplice attitudine.

Senza addentrarci oltre nella suddivisione spesso solo sulla carta dell’attitudine di ogni razza, passiamo invece a parlare della suddivisione dovuta all’età dell’animale.
Il maschio viene chiamato balliotto dalla nascita fino alla prima settimana di vita, vitello fino al primo anno di età, manzo (se è castrato) o vitellone dal primo al quarto anno, bue (se castrato) o toro dopo il quarto anno di età.
La femmina viene chiamata vitella fino al primo anno di vita, manzetta se non ha ancora partorito ed è di età inferiore ai venti mesi, manza o giovenca tra il primo ed il terzo anno di vita e vacca se è di età superiore ai tre anni o se è sotto i tre anni ma in stato gravido. Il termine mucca è invece riferito al bovino femmina in genere ma è un dialettismo di origine toscana forse di derivazione onomatopeica o forse dai termini latini mulgere (mungere) e mugire (muggire).

Dagli esemplari allevati per la carne (ma ovviamente anche dagli altri volendo) si ottengono diversi tagli utilizzabili in ambito culinario per le più svariate preparazioni: dal taglio della coscia si ottengono codone, noce, sottofesa e girello, dal taglio della lombata filetto, controfiletto e carré, dal taglio della schiena  costata, dal taglio del collo e della testa si ottengono collo, lingua e testina, dalla spalla si possono avere cappello del prete e fusello, dai garretti gli ossibuchi, dal petto la punta di petto, dal costato si ottengono biancostato di reale e taglio reale e dal taglio della pancia biancostato di pancia e fiocco. Questi pezzi sono solo alcuni di quelli ottenibili e ovviamente a seconda della regione e assumono nominazioni differenti. 
Non dimentichiamoci poi che anche le interiora vengono utilizzate a scopi gastronomici: cervella, fegato, animelle sono le basi di un piatto tipico piemontese, il fritto misto alla piemontese e la trippa (che altro non è che parte degli stomaci e non dell’intestino come molti credono) sono comunemente utilizzate in molte ricette tradizionali della cucina regionale italiana (ad esempio i trippai fiorentini che preparano il caratteristico panino col lampredotto, che rientra tra i cibi di strada ora tanto ricercati, rappresentano una piacevole tradizione legata ai piatti poveri del passato).

La raccomandazione che mi sento di fare è quella di utilizzare possibilmente carne italiana derivante da animali allevati in maniera consapevole e preferibilmente a stabulazione libera che magari effettuano la transumanza o l’alpeggio in maniera che possano cibarsi delle più svariate qualità di erbe che poi andranno a dare determinate caratteristiche anche alla carne.
  
ANCHE SE SO CHE AVRESTE VOLUTO CHE VI PARLASSI DEL VITELLO DAI PIEDI DI BALSA… MA PAZIENZA!!!"

Ecco qui la mia ricetta e qui quella della Serena.

Cappelletti di farina di ceci e trippa

Ingredienti per 4 persone

300 g di farina di ceci denaturata (passata in forno a 90°C per 3 h)
300 g circa di trippa di foiolo
due cucchiai di salsa di pomodoro
una cipolla media
due limoni
qualche chiodo di garofano
due foglie d'alloro
olio extravergine
sale
un pizzico di pepe nero
un paio di cucchiai di formaggio tipo Grana

Sminuzzate la cipolla e mettetela in una pentola con un po' d'olio sul fondo a fuoco minimo che ormai lo sappiamo che il soffritto sbruciacchiato è cancerogeno oltre a non usarsi più dagli anni '90 e fate andare piano piano fino a quando non sarà diventate trasparente.
Preparate la trippa. Giuro. Non fa così schifo come sembra. Non è viscida e di certo i puntini in rilievo non sembrano delle papille gustative.
Sciacquatela bene sotto l'acqua e tagliatela a pezzetti. Buttatela nella pentola, aggiungete un limone tagliato a metà, il pomodoro, i chiodi di garofano, l'alloro e un pizzico di sale.
Coprite e fate andare per almeno un paio d'ore aggiungendo ogni tanto un goccio d'acqua se necessario.
Preparate la sfoglia impastando per bene la farina di ceci con due cucchiai d'olio e un pizzico di sale.
Quando la trippa sarà ben cotta, morbida e asciutta (se non lo è fate in modo che lo sia) togliete gli aromi e versatela nel bicchiere del frullatore frullando fino ad ottenere un composto morbido e cercando di non pensare al fatto che aggiungendo un po' di latte si potrebbe ottenere un milkshake.
Non preoccupatevi di ottenere una poltiglia perchè ciò non avverrà essendo la trippa abbastanza tenace e gommosetta.
Stendete la sfoglia il più sottile possibile fino a vederci attraverso ma non per i buchi, tagliate dei quadrati di circa 5-6 cm per lato, adagiate al centro di ognuno una pallina di ripieno e chiudete a cappelletto.
Cuocete per 3-4 minuti in abbondante acqua salata, scolate e condite con olio extravergine, la buccia grattugiata dell'altro limone, pepe nero e un po' di formaggio.
Servite senza dire cosa c'è dentro che sennò non li mangerà nessuno.


venerdì 25 gennaio 2013

I pici alla Luganega


Ingredienti per 4 persone:
250 gr di macinato di maiale
150 gr di grana padano grattugiato
un paio di cucchiai di vino bianco
qualche cucchiaio di brodo di carne (si può omettere)

200 gr di farina 00
100 gr di farina di semola rimacinata
2 generosi cucchiai d’olio extra vergine
1 pizzico di sale

La sfida di questo mese è stata tosta.
Non tanto per la pasta in sé, tanto che fosse un smaronamento già lo sapevamo tutti, come ogni pasta fatta in casa d'altronde.
Tanto è vero che quando ad Antonio chiesero: "Ok ti assumiamo. Preferisci fare i fusilli uno ad uno o i saccottini?"
Lui rispose: "No vi prego, la pasta no! Piuttosto parlo coi polli!".
E poi è finito a fare gli abbracci.
E sì, so che sono monotona e ogni tanto sta storia la tiro fuori, ma non posso farne a meno, è un'immagine che ha sempre il potere di risollevarmi il morale.
Dicevamo, che non è stata tosta per la preparazione in sé, quanto per il condimento.
Perchè diciamocelo, è facile (e qui mi verrebbe da citare un aforisma popolare che tratta di sederi degli altri, ma mi tratterrò) parlare di km 0 quando si abita vicino alla campagna in una terra meravigliosa (gnegnegne). Ma per quelli che abitano in città il cui unico km 0 è il super sotto casa come la mettiamo?!
Ma questo tanto non è il mio caso.
Facevo solo un po' di polemica gratuita.
Infatti io, nonostante abiti in una zona che fino a pochi anni fa era semi-periferica con ancora un po' di verde intorno ma che ormai là dove c'eeeera l'eeerbaaa ooora c'eeeè uuuun Auchaaaaaannnn, ho un pezzo di giardino nel quale abbiamo un piccolo orto e tre polli da compagnia.
Mi mancherebbe solo il mulino, giusto per tornare sul discorso di prima.
Anzi, per esser precisi, si tratta di tre galline femmine, chiamate amorevolmente da tutti "Le Ragazze".
E non chiedetemi come faccia a gestire tutto questo oltre ad avere un lavoro di 8 ore che mi tiene fuori casa 11, perché infatti semplicemente io non faccio una mazza; se ne occupa qualcun altro.
Altrimenti mi chiamerei Sarah Jessica Parker e avrei fatto un film.
Tornando alle ragazze, quelle che stanno in giardino, avere una gallina da compagnia in città è simpatico quanto avere un cane.
Con la differenza che non abbaia ma in compenso canta, è meno affettuosa, ti fa meno compagnia, è più autonoma, ti fa le uova, non ti porta il giornale e menchemeno le ciabatte ma in compenso scagazza uguale a un San Bernardo, se non di più. 
Anzi, in effetti ora che ci penso, a parte le uova, avere una gallina è una gran ciulata.
No dai scherzo, è bello sentirle cantare alle 5 del mattino.
E quindi insomma, questo per me è il mio km 0.
Solo che cazzarola, Patty, l'unica volta che ero bella pronta per fare una magnifica pasta all'uovo cosa mi tiri fuori tu??? La pasta di semola.
Eh ma allora ditelo.
Comunque l'uovo, anche se non potevo piazzarlo nell'impasto, ho deciso che in ogni caso avrebbe dovuto essere un punto fermo della mia ricetta semplice e contadina, perché d'altronde in passato chi non aveva almeno un cinque sei sette otto centordici galline nell'aia insieme al cane da menare?
Però mi mancava qualcosa di altro da abbinarci.
E che cos'è che abbiamo qui in Brianza oltre che alle fabbrichette, la fantomatica pecora e l'onnipresente casseoula?
La luganega.
Che non è quella porcheria sottile e lunga che vi rifilano al supermercato.
E no. Perché qui, nella brianzachelavora, non ci accontentiamo mica della semplice carne di suino. 
Eh no, noi, fin dai tempi antichi, ci aggiungevamo anche un sacco di grana padano e del vino bianco e del brodo di carne.
Che non ho ancora capito se servisse a renderla più pregiata o solo a far volume. 
Sta di fatto che il risultato è un qualcosa di delizioso, di cremoso, di saporito, che si scioglie in bocca.
E si dice che il modo migliore per gustare questa prelibatezza sia mangiarla cruda sul pane caldo. 
E si, so che la carne cruda di maiale dicono vada evitata per via della tenia, però dai se me lo dice un macellaio mi fido. 
Oddio. Mi fido???!
Beh ormai è tardi. Ormai è tardi!! Non si torna, comunque sia! e quanta nostalgia uh uh.
Eppoi comunque prendere il verme solitario c'ha sempre i suoi vantaggi: ci pensate a quanto potrò mangiare senza assimilare niente??
E quindi insomma, da qui alla carbonara sbagliata der norde il passo è stato breve.
Quindi ho impastato i miei pici seguendo rigorosamente la ricetta della PattyPat e poi ho fatto le mie polpettine di luganega.
Che, attenzione, non sarà quella del marchio depositato ma a me pare uguale (ma shhhh, ditelo a bassa voce).
Per i pici vi copio paro paro il procedimento della Patty, che è inutile far fatica in due:
"Fate la fontana con le due farine miscelate. Versate l’olio, il pizzico di sale e cominciate a versare lentamente l’acqua, incorporando la farina con una forchetta. Attenzione al sale. Non esagerate perché questo indurisce la pasta.
Quando la pasta comincerà a stare insieme, cominciate ad impastare con energia utilizzando il palmo delle mani vicino ai polsi. Se necessario, aggiungete acqua o farina.
Piegate la pasta su se stessa come quando impastate la pasta all’uovo e non stirate mai troppo l’impasto per non sfibrarlo.
“Massaggiate” con energia per almeno 10 minuti. Ricordatevi che la vostra “palla” di pasta è una cosa viva, dovete volerle bene.
Dovrete ottenere una pasta liscia, vellutata e abbastanza morbida.
Fate riposare una mezz’ora avvolta nella pellicola.
Quando la pasta è pronta, tagliatene un pezzetto e fatene una pallina, quindi sulla spianatoia stendetela con il matterello ad uno spessore di 1 cm. Con un tagliapasta o un coltello affilato, tagliate tante striscioline larghe c.ca 1 cm e coprite il resto della pasta con la pellicola affinché non si secchi.
Cominciate a "filare" i pici, rollando la pasta con il palmo delle mani e contemporaneamente stirandola verso l'esterno." 
Per le polpettine invece mischiate la carne tritata con grana, brodo di carne, un goccio di vino, sale e una spolverata di pepe.
Amalgamate bene e formate delle palline grosse come nocciole giganti (?!).
Scaldate una padella antiaderente, versateci un filo d'olio e rosolatele velocemente a fuoco alto in modo da farle rimanere rosate all'interno.
Sbattete 2 tuorli in una ciotola capiente, versateci la pasta bollente appena scolata, aggiungete le polpettine e mischiate il tutto.
Servite con abbondante pepe.

Con questa ricetta partecipo all'MTC di gennaio.


domenica 25 novembre 2012

Arancine alla Milanese


Ingredienti per 18 arancine:

Per il riso
1 kg di riso Carnaroli
2,5 l circa di brodo vegetale (con carota, cipolla, sedano)
50 stimmi di zafferano
70 g di burro
50 g di parmigiano grattugiato
una cipolla medio-piccola
olio evo q.b.
sale q.b.
tre cucchiai di farina di riso

Per il ripieno
quattro ossibuchi di vitello o vitellone
2 cucchiai di farina
mezza cipolla
mezza carota
burro e olio
un po' di brodo
buccia di limone
prezzemolo
1 acciuga

Per la lega (ne resterà molta, ma occorre poter immergere bene l'arancina)
800-900 ml d'acqua
la metà di farina
una manciata di sale

Per la panatura (ne resterà molto anche qui)
700-800 g di farina di mais fine

Olio di semi per friggere

Quando ho visto che la Robi aveva vinto questo MTC un po' mi sono emozionata dato che lei è una delle foodblogger che conosco da più tempo, che mi sta tanto simpatica, che fa delle ricette meravigliose, che mi insegna un sacco di cose sulla sua Sicilia e sì beh insomma, diciamocelocelocelo (alla Marchesini), è una di quelle a cui sono più affezionata. 
E tra l'altro è pure colei che mi ha iniziato all'MTC. 
Che mi ha spinto nel tunnel. Che mi ha inglobato nella setta. 
Che mi ha convinto ad entrare in questo giro di gente pazza che si sfida e cucina la stessa cosa a scadenze e sotto pressione.

Cazzo Robi ma in effetti siamo sicuri che anche io ti stavo simpatica?! 

E quindi insomma, questo mtc era particolamente sentito. 
E pensa che ti ripensa per trovare qualcosa di adatto, alla fine ho avuto una folgorazione. 
Maledetto phon. 
E ho pensato: ma se l'arancina al posto che nascere in Sicilia fosse nata a Milano, come sarebbe stata? 
A parte cocainomane, snob e alla moda. 
Di sicuro ci si sarebbe trovato dentro del Carnaroli, dello zafferano e dell'ossobuco. 
E al posto del pangrattato probabilmente della farina di mais. 
E quindi ecco, io ho proseguito su questa strada e ho fabbricato un aranciun. 
O un'aranceoula. O ciamala cume ti par, pirletta.

Come insegna Robi il riso e il ripieno vanno preparati con qualche ora d'anticipo in quanto al momento dell'assemblamento delle arancine devon esser freddi.
Per il risotto fate imbiondire la cipolla in qualche cucchiaio d'olio, aggiungete il riso e fatelo tostare per un paio di minuti, unite lo zafferano e il brodo un mestolo alla volta e portate a cottura (al dente). Fuori fuoco mantecate con burro e parmigiano.
Nel mio caso per aumentarne la cremosità, dato che il mio riso non ha rilasciato molto amido, ho aggiunto durante gli ultimi cinque minuti di cottura tre cucchiai di farina di riso. 
Per il ripieno invece prendete gli ossibuchi, infarinateli leggermente e fateli rosolare a fuoco alto in una padella con qualche cucchiaio d'olio e una noce di burro.
Aggiungete il trito di cipolla e carota, rosolate per qualche minuto, aggiungete un mestolo di brodo, coprite con il coperchio ed abbassate il fuoco al minimo. 
Fate cuocere così per circa un'ora e mezza controllando ogni tanto che la carne non stia diventando un tutt'uno con la padella e nel caso aggiungete poca acqua o brodo. 
Fuori dal fuoco aggiungete la gremolada preparata tritando la buccia di mezzo limone con qualche filo di prezzemolo e un acciuga.
Una volta tiepidi tritate gli ossibuchi al coltello o spezzettateli con le mani aggiungendo il sughetto rimasto sul fondo della pentola e il loro midollo.
Raffreddate riso e ripieno in frigo per almeno 3 o 4 ore.

Per formare le arancine invece vi invito a guardare il suo dettagliatissimo precisissimo e bellissimo post che, riassumendo, dice di preparare le palle di riso con le mani umide, farle riposare in frigo per una mezz'ora, ritirarle fuori e farci il buco premendo col dito, infilarci il ripieno, richiudere, immergere nella lega preparata mischiando con una frusta la farina, l'acqua e il sale, far sgocciolare per qualche minuto sulla carta da forno, rotolare nella farina di mais e friggere per due tre minuti in olio profondo fino a doratura.

Con questo post ringrazio Robi per la meravigliosa ricetta e partecipo all'MTC di novembre.


mercoledì 7 marzo 2012

Ossobuco con risotto




Ingredienti per 4 persone:
4 ossibuchi di vitellone
2 cucchiai di farina
mezza cipolla
mezza carota
burro e olio
un po' di brodo
buccia di limone
prezzemolo
1 acciuga
350 gr di riso
brodo
50 gr di parmigiano
1 bustina di zafferano
mezza cipolla
1 bicchiere di vino bianco
burro

Da come si evince dal titolo oggi vi presento una ricetta notoriamente "Over Po".
Non l'ho chiamata col suo nome originale perchè poi i puristi avrebbero avuto sicuramente da ridire su qualcosa: e l'oss bus ha poco bus, e el risutin l'è trop giall, e el piato l'è trop bianc, ecc.ecc.
Per cui ecco a voi la rivisitazione monzese/sudemilianoromagnola dell'osso buco alla Milanese. Ovvero: la mia.
Questa volta ho provato la cottura di due giorni, non di fila, ma nel senso che ho iniziato la sera prima, ho spento e lasciato riposare e ho continuato il giorno dopo. E finalmente.....rullo di tamburi! Ho ottenuto degli ossibuchi tenerissimi (molto più delle altre volte). L'idea l'ho fregate alla massaie della zona (che alla fine sono sempre più avanti di noi).
Prendete gli ossibuchi, infarinateli leggermente e fateli rosolare a fuoco alto in una padella con olio e burro.
Aggiungete il trito di cipolla e carota, fate stufare e rosolare leggermente, sfumate con mezzo bicchiere di vino bianco, aggiungete un mestolo di brodo, coprite la padella ed abbassate il fuoco al minimo. Fate cuocere cosi per circa un'ora e mezza controllando ogni tanto che la carne non stia diventando un tutt'uno con la padella (nel caso aggiungete poca acqua o brodo). Volendo gli ossibuchi potreeeebbero essere già pronti, ma noi non ci accontentiamo. Per cui spegnete tutto e andate a dormirci su (non letteralmente).
L'indomani riaccendete la fiamma al minimo per altre due orette, preparate la gremolada tritando la buccia di mezzo limone, qualche filo di prezzemolo e un acciuga, spargetela sopra la carne e servite. Ditemi ora se non ne è valsa la pena.
Per il risotto invece prendete un tegame e fateci stufare mezza cipolla tagliata piccolina in una noce di burro. Aggiungete il riso e fatelo tostare per qualche minuto, sfumate con mezzo bicchiere di vino bianco, aggiungete brodo fino a coprire a filo, date una mescolata e fate assorbire il liquido a fuoco basso. Aggiugete ora lo zafferano e ancora un po' di brodo poco alla volta fino a portare a cottura il risotto (circa 15/20 minuti).
Spegnete e mantecate con generoso burro e parmigiano senza fare le braccine.


lunedì 13 febbraio 2012

Strudel salato con agnello e Fiordifrutta alle prugne


Ingredienti per quattro piccoli strudel
due cipolle rosse medie
700 gr di carne d'agnello tritata
cinque cucchiai di Fiordifrutta alle Prugne Rigoni d'Asiago
un cucchiaio di aceto balsamico
200 gr di farina 
due uova e un tuorlo
una noce di burro
olio extravergine 
mandorle a lamelle per decorare
sale qb

Preparate la sfoglia per lo strudel impastando la farina con le due uova e due cucchiai d'olio. Formate una palla e mettetela a riposare coperta per una mezz'oretta.
Per il ripieno affettate le cipolle finemente e mettetele a stufare a fuoco basso in una padella con il burro e l'olio.
In un altra padella rosolate la carne d'agnello in un filo d'olio, poi aggiungete le cipolle ormai cotte, coprite e fate cuocete a fuoco basso per circa 30 minuti.
Fate intiepidire la carne, aggiungete il cucchiaio di aceto balsamico e la Fiordifrutta alle prugne.
Dividete l'impasto per la sfoglia in quattro parti e stendete ognuna in un rettangolo molto sottile di circa 20x30.
Stendete uniformemente il ripieno, arrotolate fino a formare gli strudel, spennellate con il tuorlo d'uovo, cospargete con le mandorle e cuocete a 180° in forno caldo per circa 25 minuti.
Con questa ricetta partecipo al contest Rigoni di Asiago "una torta salata ma non troppo".